Il lettore più puntiglioso potrebbe avere da ridire, quando constata che ci stiamo occupando degli interruttori nella sezione dedicata agli impianti elettrici, che sono argomenti infinitamente più delicato e complesso da affrontare, ma nostro obiettivo è quello di convincere tutti che le due cose sono estremamente legate. Non ci sarebbe impianto elettrico senza interruttore, così come non ci sarebbe interruttore se non esistesse il collegamento ad un impianto elettrico. Che può essere quello che conduce ad una lampadina da 5 watt oppure quello di un apparato interno ad una grande fabbrica, piuttosto che ad un sofisticato strumento elettronico quale può essere uno smartphone. Anche quando si fa riferimento alle cosiddette “small devices”, strumenti piccoli nelle dimensioni, si ha obbligatoriamente a che fare con un interruttore. Non può essere altrimenti: serve per forza un interruttore per accendere o spegnere gli strumenti elettronici. A questo punto, siamo arrivati al momento di entrare nel dettaglio e considerare nello specifico la materia che stiamo trattando, addentrandoci a piccoli passi nella parte tecnica, che per quanto spinosa è fondamentale per una perfetta comprensione. Come si compone un interruttore? Ebbene, partiamo dalle forme più elementari, quelle composte da due contatti metallici che possono all’occorrenza essere allontanati o messi in contatto: dipende dalle esigenze specifiche di chi li manovra. Introduciamo un altro termine comune (non solamente al campo dell’elettronica, di cui ci stiamo occupando, ma anche a tanti altri): polo. Ad ogni contatto metallico interno all’interruttore, infatti, corrisponde un polo. Avete presente positivo e negativo? Roba da scuole elementari: esatto, siamo tornati alle elementari perché è proprio di quei due poli che ci stiamo occupando. Ora, se è da un lato è vero che questi due poli possono entrare in contatto o allontanarsi a seconda delle esigenze e dell’uso che si fa dell’interruttore, dall’altro è altrettanto vero che esistono circuiti leggermente più complessi di quelli ordinari, all’interno dei quali l’attivazione di un contatto metallico, inibisce automaticamente l’altro, e viceversa. Stiamo parlando, tuttavia, di interruttori di secondo livello, quindi più articolati rispetto a quelli di ordinaria amministrazione: è questa la ragione precisa per cui dedichiamo solamente un accenno a questo aspetto.
Il paragrafo che abbiamo appena cominciato lo dedicheremo all’approfondimento delle caratteristiche peculiari di un interruttore, e cercheremo di classificare questi oggetti in base alle loro proprietà. Perché per quanto è vero che esistono diverse tipologie di interruttore, è ancora più vero che ci sono caratteri universali che prescindono dalla tipologia e dall’utilità di uno strumento. Partiamo considerando un fattore che può sembrare scontato, conosciuto e prevedibile, ma non lo è: fino a che punto si può spingere un interruttore? Questa domanda si può trasformare in due, semplicissime parole: tensione nominale. Questo è qualcosa che appartiene a tutti gli interruttori, si tratta di un valore universale, che corrisponde alla massima tensione che un interruttore può supportare quando i suoi contatti sono in posizione aperta. Dipende da diversi fattori, ma quello più rilevante è senza ombra di dubbio il livello di isolamento di un interruttore e dell’impianto a esso collegato, rispetto all’ambiente esterno. Uno dei rischi più frequenti, soprattutto dal punto di vista didattico, quando si parla della tensione nominale, è di confondere questo elemento con la corrente massima nominale. Bisogna fare attenzione a non confondere la tensione con la corrente: in quest’ultimo caso stiamo parlando della corrente massima che può percorrere un interruttore. Abbiamo a che fare con una variante da non sottovalutare, soprattutto in termini di sicurezza: è più che mai sbagliato, infatti, pensare che l’interruttore sia scevro dalla corrente che lo attraversa, in quanto il rischio surriscaldamento è sempre dietro l’angolo, anche grazie alle conseguenze del cosiddetto “effetto Joule”. Rimaniamo nell’ambito delle caratteristiche comuni alla stragrande maggioranza degli interruttori, e soprattutto, rimaniamo nell’ambito di quei fattori che fino a questo punto abbiamo identificato come nominali. Dopo la tensione e la corrente massime, è il turno del potere di interruzione. Ci troviamo di fronte adesso alla discriminante che, secondo molti studiosi, rappresenta il vero indice di forza di un interruttore. Il potere di interruzione nominale è la corrente massima che il nostro interruttore è in grado di interrompere, mantenendo la capacità di ristabilirsi successivamente all’interruzione. Può infatti capitare – anzi capita spesso – che i due contatti metallici a un certo punto non siano più in grado di unirsi. Vi preghiamo di fare particolare attenzione alle righe che seguono, perché faremo un focus sugli aspetti legati all’utilizzo in sicurezza di un interruttore.
Fino a questo punto, ci siamo soffermati sugli aspetti tecnici, cercando di alternare pratica e teoria, legati al’interruttore in quanto dispositivo di fondamentale importanza per il corretto funzionamento di un impianto elettrico. Abbiamo considerato nel dettaglio le dinamiche relative alla massima corrente e alla massima tensione, ci siamo soffermati con calma sul potere di interruzione nominale degli strumenti che stiamo trattando, quindi adesso possiamo parlare del Grado di protezione IP, ovverosia del livello di protezione nei confronti di quegli oggetti che possono risultare insidiosi per il corretto funzionamento dell’interruttore (e, conseguentemente, dell’impianto elettrico), o nei confronti dell’acqua, che mal si concilia con l’elettricità. Si tratta di un fattore che per quanto importante, non viene considerato in maniera giusta in fase di costruzione: si tende a privilegiare aspetti ugualmente importanti, quali la potenza e il potere di interruzione, sacrificando la sicurezza in virtù delle dimensioni dell’impianto elettrico con cui si ha a che fare. Capita spesso, troppo spesso, e non è che vada granché bene…Tornando a trattare di tecnica applicata agli interruttori, possiamo fare una distinzione tra i vari tipi di interruttore. Ci sono distinzioni che si possono realizzare in un livello strettamente generale, ed altre che necessitano di un viaggio un po’ più particolareggiato. Per prima cosa, un interruttore si distingue da un altro a seconda dell’utilizzo a cui è chiamato e se deve lavorare in alta o in bassa tensione. E’ un aspetto fondamentale e discriminante. Abbiamo già visto quanto sia facile viaggiare con la mente e comprendere che è possibile avere a che fare con interruttori piccolissimi, da cellulare, come con interruttori enormi chiamati a regolare il funzionamento di interi apparati industriali ad altissima tensione. Insomma, abbiamo a che fare con una famiglia molto ampia e ricca di sfaccettature. Sotto il profilo costruttivo e anche sotto il piano tecnico relativo alla manutenzione, gli interventi che richiede un interruttore sono strettamente connessi al suo ambito di utilizzo e al livello di tensione in cui è chiamato a operare. Non tutti gli interruttori sono uguali, anzi…Ma al contempo abbiamo visto quanto sia utile e agevole tenere sotto controllo le caratteristiche di questi dispositivi e governarli, anche per i “poco avvezzi al fai da te”.
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