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Ancora per quanto attiene alla rinuncia al diritto dell'uso parti condominiali e ai servizi comuni, si deve ritenere inefficace l'atto di abbandono del diritto di proprietà sulle cose comuni anche se la giurisprudenza espressasi sul punto non ha sostenuto l'inefficacia di questi atti ma la vera e propria nullità dell'atto di rinuncia al diritto di proprietà sulle cose comuni, con particolare riferimento alla clausola contenuta nell'atto di vendita dell'immobile cui viene esclusa dal trasferimento proprio la proprietà e quindi l'uso parti condominiali. Per quanto attiene ai servizi condominiali invece la questione si pone in maniera differente proprio perchè, specificamente in materia di riscaldamento, una rinuncia in questo caso implicherebbe un risparmio per il condominio per la relativa spesa mancante che deve sostenere in assenza del condomino rinunciante. Anche in questo caso la Corte di Cassazione ha espresso degli orientamenti divergenti tra loro ma più recentemente ha sancito la legittimità di questo tipo di rinuncia, ad una condizione, che cioè il condomino interessato "dimostri che il distacco del proprio impianto dalle diramazioni dell'impianto centralizzato non causi squilibri termici, pregiudicandone il regolare funzionamento, e sempre che tale modificazione non comporti degli aggravi di spese per coloro che continuano a fruirne". Tuttavia anche in questo caso, come affermato dal secondo comma dell'art. 1118 c.c., il condomino ha comunque onere di continuare a contribuire alle spese di manutenzione e conservazione dell'impianto; la l.n. 220/2012, nel riformare la disciplina dell'uso parti condominiali ha a tal proposito inserito il comma 4, prevedendo tale limite ostativo al distacco e precisando che le spese di manutenzione si riferiscono a quel tipo di manutenzione straordinaria dell'impianto.
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In materia di uso parti condominiali, queste non sono come detto, soggette a divisione e le relative innovazioni, definendo tali "ogni modificazione materiale delle cose comuni o quanto meno ogni modificazione anche immateriale che muti la destinazione economica" del bene, necessitano della maggioranza indicata dal quinto comma dell'art. 1136 c.c.. Quindi i condomini possono decidere nell'assemblea, di modificare la destinazione d'uso di un bene appartenente all'uso comune con una maggioranza che rappresenti almeno i 4/5 del valore dell'edificio. Sono assolutamente vietate dalla norma codicistica, "le modificazioni che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alternino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso e al godimento anche di un solo condomino". Questo è quanto stabilisce la disciplina dell'art. 1120 c.c..
Le quote stabiliscono quanto è dovuto da parte di ogni condomino per contribuire agli interventi effettuati sulle parti comuni. Così recita infatti l'art. 1123 c.c.: "le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione". La giurisprudenza ha inoltre stabilito che "al fine di determinare la portata del godimento spettante a ciascun partecipante sui beni comuni, occorre fare riferimento al momento in cui la proprietà esclusiva dell'intero edificio si fraziona in più proprietà individuali". E ancora un recente intervento della Cassazione ha fatto chiarezza in punto di determinazione delle singole quote stabilendo che "il criterio per determinare le singole quote preesiste ed è indipendente dalla formazione della tabella millesimale, derivando dal rapporto tra il valore della proprietà singola e quello dell'intero edificio", e che "per determinare il valore di ogni piano o porzione di piano occorre prendere in considerazione sia gli elementi intrinseci dei singoli immobili oggetto di proprietà esclusiva (quali l'estensione) che elementi estrinseci (quali l'esposizione), nonché le eventuali pertinenze delle proprietà esclusive, tra le quali possono essere considerati i giardini in proprietà esclusiva di singoli condomini, in quanto consentono un migliore godimento dei singoli appartamenti al cui servizio ed ornamento sono destinati in modo durevole, determinando un accrescimento del valore patrimoniale dell'immobile". Esso può essere sempre rettificato o modificato se viene accertato un errore di fatto, di calcolo o di diritto ovvero se interviene un mutamento delle condizioni, ai sensi dell'art. 69 disposizioni attuative (Corte di Cassazione n. 4734 del 1988). La sentenza sarà di accertamento e farà stato anche per i criteri di suddivisione precedentemente adottati, nel primo caso, mentre sarà costitutiva nel secondo caso; la modifica della tabella millesimale richiede il consenso di tutti i condomini.
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